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LO SPORT CHE FA BENE AD OGNI ETA’: MOTIVAZIONI, ESIGENZE E BISOGNI CONNESSE ALL’ ATTIVITA’ SPORTIVA NELLE DIVERSE FASI DI CRESCITA.

 

Allo sport ci si può avvicinare a qualsiasi età, in qualsiasi momento con esigenze e spinte motivazionali differenti in base alla fascia di età in cui ci si trova ed è quindi molto importante che l’ambiente sportivo in cui sono inseriti i giovani atleti sia focalizzato sul rispetto dei vari stadi di sviluppo.

Perché alcuni atleti sono maggiormente motivati di altri? Cosa bisogna fare per motivare un atleta ad impegnarsi sempre al massimo delle sue abilità?

La psicologia dello sport studia come la partecipazione allo sport possa accrescere lo sviluppo personale ed il benessere di coloro che praticano varie forme di attività fisica, sia per piacere personale, sia a livello di élite in attività specifiche.

A livello agonistico questa disciplina è focalizzata sui processi psicologici che guidano la prestazione sportiva, i modi attraverso cui può essere stimolato l’apprendimento e l’incremento delle prestazioni.

Nello sport giovanile, il tema della motivazione assume una forte rilevanza perché in particolare nel periodo adolescenziale si gettano le basi importanti in vista di una eventuale carriera agonistica futura e quando questa esperienza iniziale è gestita adeguatamente all’età, può aiutare i ragazzi a sviluppare caratteristiche positive di personalità come l’autonomia, la consapevolezza dei limiti personali e la cooperazione.

Generalmente un bambino tra i i cinque e i dieci anni si avvicina allo sport perché vuole semplicemente giocare, entusiasmarsi, sperimentare il proprio corpo e le abilità acquisite fino a quel momento.

Bloom (1985) ha condotto una ricerca in cui ha studiato per diversi anni come si era sviluppato il talento di un gruppo di 120 atleti di alto livello e ha evidenziato che nella fase iniziale della loro carriera sportiva ciò che risultava dominante era la componente ludica dell’attività che in tal modo aveva consentito di mantenere i livelli di motivazione elevati nello svolgimento dello sport scelto.

Negli anni successivi, tra gli undici e i quattordici anni il giovane familiarizza col pensiero astratto e desidera vedere fino a dove può arrivare, può programmare e fissarsi obiettivi a lungo termine (cosa impensabile nella precedente fascia di età) e si impegna nella cooperazione, mentre l’adolescente, tra i quindici e i vent’anni, può preparare gli stadi più elevati della professionalità e vivere già il ruolo dell’adulto.

Lo sport allena all’iniziativa, alla responsabilità, spinge alla socializzazione e alla cooperazione, insegna a pensare, valutare e proporre.

Far parte di un ambiente sportivo favorirà l’adolescente nella realizzazione della socializzazione secondaria. Trovandosi ad interagire con diverse figure adulte che rappresentano i principali sostituti delle figure genitoriali in un contesto emotivamente più neutro rispetto a quello familiare, entrerà a far parte di un gruppo che consente l’instaurarsi di relazioni che hanno diversi livelli di coinvolgimento e la sperimentazione di nuovi ruoli sociali (leader, gregario, ecc…).

Sul piano socio-affettivo e relazionale, la figura dell’allenatore assume il ruolo di guida capace di ascoltare, dare consigli valorizzando e apprezzando l’adolescente, convogliando le sue energie, la sua esuberanza e il suo desiderio di cambiare verso obiettivi sportivi nuovi oltre che appaganti (Giovannini, 2002).

L’allenatore inoltre, grazie ad un bagaglio formativo ed esperienziale specifico, agisce sulla personalità dell’atleta lasciando spazio alla sua creatività, alle sue iniziative, senza determinare alcune scelte e facendo si che assuma le sue responsabilità con lo scopo finale di promuovere la crescita dell’atleta nella sua complessità (Prunelli, 2002).

L’allenatore ha il ruolo chiave del motivatore ed è ampiamente condivisa l’idea che la motivazione sia la variabile che più di ogni altra spinge all’iniziativa verso una direzione con particolare intensità e quindi si tratta di un elemento chiave che può non solo facilitare la performance ma rendere l’esperienza sportiva positiva.

L’assenza di motivazione, al contrario, costituisce uno stato psicologico in cui le persone non hanno un senso di efficacia né un senso di controllo rispetto al conseguimento di un risultato desiderato.

Conoscere quindi la spinta motivazionale che determina e mantiene il coinvolgimento sportivo degli atleti è molto complesso e i fattori che lo determinano devono essere tenuti presenti nei vari programmi di allenamento giovanile per incentivare i giovani atleti alla pratica sportiva.

 

 

Dott. Quaroni Andrea

Laureato in scienze e tecniche psicologiche all Università di Pavia

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